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Il piede piatto nei bambini

Il piede del bambino ha una sua fisiologica evoluzione e non può essere considerato come “una forma ridotta” del piede dell’adulto. Tutti noi nasciamo con i piedi piatti: è fisiologico!

Durante la crescita, quando impariamo a camminare, una base di appoggio più ampia, data da un piede piatto, rappresenta un vantaggio evolutivo, non è una patologia.
Sarà poi tra gli 8 e i 12 anni che il piede progressivamente assumerà l’aspetto di un normale piede come nell’adulto. L’età giusta per una prima valutazione ortopedica del piede è tra i 6 e gli 8 anni, a meno che il pediatra non solleciti una verifica precoce. Anche il bimbo che cammina con i piedi in dentro o in punta potrebbe essere una cosa normale; tuttavia, in questi casi, è utile il consulto con un medico ortopedico.

Ci sono bambini, invece, che presentano deformità dei piedi già alla nascita. Questo, che viene definito piede torto, attualmente, in molti casi, si può trattare con risultati brillanti anche senza la chirurgia (metodo Ponseti).

Il più delle volte il piede piatto nel bambino è asintomatico e viene semplicemente notato dai genitori o dal pediatra. Raramente il piccolo lamenta dolore all’interno dell’arco del piede. A volte, il piede piatto può portare ad un “alluce valgo giovanile”.

Parlare con il bimbo e i suoi genitori, osservare l’usura delle sue scarpine e vederlo camminare, è importante per diagnosticare una sindrome pronatoria (piede piatto). Se strettamente necessario si eseguirà una radiografia dei piedi in carico, per studiare l’evoluzione della deformità. Nel passato, per il piede piatto, la tendenza è sempre stata quella di impiegare plantari e calzature ortopediche. Oggi si sa che questi presidi hanno una scarsa utilità terapeutica e correttiva. La terapia più efficace per un bambino con un piede piatto semplice è una vita equilibrata e la pratica dello sport che più gli piace e che gli consenta uno sviluppo armonico.

È, invece, importante arrivare ad una diagnosi di piede piatto patologico entro gli 8-9 anni di vita, per non precludere possibilità terapeutiche offerte dalla chirurgia mini-invasiva, attuabile solo nella fase di crescita del bambino. Ove necessario, si potrà intervenire su un piede piatto patologico in un’età compresa fra i 9 e i 13 anni.

Le tecniche chirurgiche più utilizzate sono la classica “calcaneo-stop” e la più recente endortesi. Nel primo caso viene inserita una vite nel calcagno, tramite una piccola incisione laterale. Questa vite induce uno stimolo correttivo nel piede del bambino; a distanza di tempo, dopo l’impianto, è richiesta nella maggior parte dei casi la rimozione della protesi. L’evoluzione di questa tecnica è rappresentata dall’endortesi: l’impianto di una protesi (molto simile ad una piccola vite), tra calcagno ed astragalo. Anch’essa ha l’obiettivo di guidare la crescita residua del piede, ottenendo progressivamente una correzione efficace. Oggi le protesine più diffuse sono in titanio e non vengono più rimosse nel 90% dei casi. Nei rari casi in cui il piccolo paziente avverta fastidio durante le attività sportive e nei cambi di direzione repentini, è possibile rimuoverle ad un anno dall’impianto, senza compromettere la correzione ottenuta. E’ un intervento consigliabile fino ad un’età limite di 15 anni circa ed è decisamente poco invasivo, se rapportato ad eventuali correzioni in età più avanzata.

Se è il caso, l’intervento può essere praticato contemporaneamente su entrambi i piedi nella stessa seduta operatoria. Questo consente di sottoporre il bambino ad una sola anestesia e garantirgli, sin da subito, un appoggio simmetrico. Se fatta da mani esperte, la durata complessiva dell’operazione è in media di 10 minuti. I pazienti escono dalla sala con due punti riassorbibili ed uno stivaletto rigido in vetroresina per lato. Lo stivaletto gessato, pur non essendo una priorità, consente al paziente di caricare e camminare subito con confidenza sui due piedi operati, con maggior stabilità e senza dolore.
Dopo 15 giorni i due gessi vengono rimossi; già dopo 3 giorni dall’intervento possono camminare, accusando poco dolore, e tornare a scuola. L’importante è non sottoporli a lunghe camminate e a carichi eccessivi. Già dopo 15 giorni, rimossi i gessi, si può tornare a praticare sport in acqua, e dopo 45 a correre. Per gli sport che comportano un minimo di rischio traumatico il tempo si allunga a 4-6 mesi.

Nelle prime fasi del recupero può essere utile eseguire delle sedute di fisioterapia per aiutare il bambino a riacquisire un corretto schema di movimento e a prendere confidenza con le “nuove sensazioni” che riceve dai piedi.

Le lesioni del Legamento Crociato Posteriore sono quasi sempre causate da un importante impatto, molte volte per traumi sportivi. Il LCP spesso si rompe quando si colpisce il ginocchio piegato contro un oggetto molto duro (ad esempio, il cruscotto in un incidente stradale o un avversario durante una prestazione sportiva) oppure quando si cade battendo il ginocchio piegato. Quando si rompe i pazienti riferiscono disturbi in fase di decelerazione della corsa, scendendo le scale o camminando sulle pendenze e con le torsioni in generale.

La diagnosi medica di rottura si avvale dei test di traslazione posteriore della tibia (cassetto posteriore) e di esami strumentali come rx in stress posteriore di tibia e risonanza magnetica.

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fabioparolini