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L’alluce valgo

L’alluce valgo è una deformazione del primo dito del piede, che appare deviato verso le altre dita, con contemporanea sporgenza del primo osso metatarsale. Questa deformità è di solito abbinata ad una progressiva infiammazione e degenerazione dei tessuti molli circostanti che, oltre a procurare dolore, può generare una borsite acuta, in grado di indurre un’ulcerazione e di causare infezioni.

Nell’immaginario collettivo si tende ad associarlo molto ai tacchi alti o alle punte strette delle calzature; questi possono essere fattori peggiorativi per quanto riguarda il dolore, ma dal punto di vista causativo essi non ne sono responsabili. Più frequentemente, piuttosto, il valgismo può essere correlato ad altre patologie specifiche o a deformità del piede (come il piede piatto).

La diagnosi di alluce valgo è semplicissima ed è il paziente stesso a formularla nella maggior parte dei casi. Tuttavia, per procedere ad una diagnosi completa è utile, oltre ad una valutazione clinica del piede, una radiografia in carico per accertare eventuali differenze ed asimmetrie di appoggio.

Nei casi di deformità lieve, per ridurre lo stress tendineo e il sovraccarico meccanico sulle teste metatarsali, è sufficiente compensare l’appoggio con un plantare (su misura) e/o con una modifica della calzatura, risolvendo di fatto la sintomatologia. E’ tuttavia necessario ricordare che un plantare esercita una funzione di compenso che si attiva solo quando inserito correttamente nella calzatura, ma non ha alcun potere correttivo sulla deformità. Questo è un elemento molto importante da tenere in considerazione poiché, nei casi di deformità progressiva, può accadere che il plantare non sia più sufficiente a compensare l’alterazione durante l’appoggio. Quando questo si verifica, prima di ricorrere ad un rinnovo del plantare, è bene rivalutare la cosa con lo specialista. Meno utili dei plantari sono gli spaziatori di silicone, da inserire tra l’alluce e le altre dita del piede. La spinta, esercitata dall’alluce sulle altre dita, è talmente elevata che questi spaziatori possono risultare addirittura dannosi e causare delle deformità secondarie nelle altre dita del piede.

Quando un intervento si rende necessario è molto importante fare un bilancio globale del piede e non soffermarsi solo all’alluce. Quando la deformità è parte di una disfunzione più complessa, i tendini devono riprendere a lavorare in equilibrio su assi meccanici favorevoli. Per ripristinare questa condizione fisiologica possono rendersi necessari degli interventi di riallineamento sullo scheletro del retropiede (per esempio un’osteotomia di medializzazione del calcagno), in associazione o meno a transfer tendinei.

Non considerare questi aspetti significherebbe compromettere il risultato finale. Da qui le scelte chirurgiche sono diverse. Dove possibile si deve optare per una chirurgia mini-invasiva che permette di contenere il sanguinamento, il dolore e il gonfiore post-operatorio e di velocizzare il recupero. Negli altri casi si ricorre ad altre tecniche che permettano di ripristinare un corretto funzionamento dell’intero sistema durante uno stesso atto chirurgico.

L’obiettivo della chirurgia è quello di ottenere un piede funzionalmente efficiente ed esteticamente appagante.

Chi si occupa specificamente di piede, quando la tecnica mini-invasiva non è praticabile, spesso opta per la tecnica BOAT (Best Of All Techniques). Essa associa la versatilità della classica osteotomia distal chevron (nota in Italia come Austin), alla stabilità della tecnica Scarf (più popolare in Francia) Al paziente è concesso il carico immediato grazie ad una particolare scarpa post-operatoria piana, da utilizzare invece delle vecchie scarpe Talus, responsabili di tanti problemi a ginocchio ed anca.

Sin dal primo giorno successivo all’intervento è richiesta l’esecuzione di esercizi di mobilizzazione dell’alluce che vengono spiegati direttamente al paziente.

  • A 15 giorni dall’intervento si tolgono i punti di sutura e si invita il paziente a cominciare a praticare l’idrokinesiterapia (camminata in acqua alta ed esercizi attivi in acqua). Per i pazienti sottoposti a tecnica mini-invasiva l’idrokinesiterapia viene rinviata di 4 settimane, al raggiungimento della stabilità delle correzioni.
  • Per 4 settimane si indossa la scarpa post-operatoria piana per poi passare ad una calzatura tradizionale.
  • Dopo 2-4 mesi si potrà tornare ad indossare anche scarpe esteticamente appaganti (soprattutto per le donne!). In questo periodo di tempo è importante farsi assistere da un fisioterapista per poter riacquisire uno schema del passo corretto ed evitare vizi posturali che compromettano il risultato finale dell’intervento o che portino all’instaurarsi di dolori secondari (schiena, ginocchio…).
  • L’attività sportiva in carico si può riprendere a circa 3 mesi dall’intervento.
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fabioparolini