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Neuroma di Morton e Metatarsalgie

Le metatarsalgie rappresentano la più frequente causa di dolore del piede nello sportivo, in particolare nelle discipline che implicano la corsa o l’utilizzo di calzature a volte strette. Il termine generico è riferibile ad una patologia che coinvolge i metatarsi, cioè la zona dell’avampiede, e può essere selettiva, quindi specifica di un solo metatarso, oppure multipla e interessare più metatarsi.

Da un punto di vista funzionale il metatarso svolge un ruolo insostituibile nel mantenimento della stazione eretta. Le teste dei metatarsi, in particolare quelle del 1° e del 5°, costituiscono i due vertici di un triangolo ideale che rappresenta i punti d’appoggio più importanti nella stazione eretta.

Sul piano trasversale le teste dei metatarsi formano un arco che, grazie alla sua flessibilità, è in grado di assorbire l’impatto con il suolo e di adattarsi alle eventuali asperità o irregolarità del terreno. La funzione di questo arco è determinante per una regolare distribuzione dei pesi e delle forze che si estrinsecano a livello dell’avampiede. Dobbiamo inoltre ricordare che durante la corsa il peso da sostenere non è solo quello del corpo: ad esso si aggiunge un’inerzia in più data dalla velocità e dagli spostamenti rapidi del corpo rispetto al terreno, come se si trattasse di una successione di balzi. Proprio per la sopportazione di questi carichi, di chilometri di corsa, per l’impiego di calzature non idonee o per la presenza di anomalie costituzionali, con il passare del tempo, questo arco può subire delle alterazioni nella forma e nella sua naturale flessibilità.

Sulla base di questi presupposti, quando in un piede normale o ancor più viziato da difetti strutturali, la forma dell’arco anteriore traverso si modifica, è possibile che i nervi digitali che si situano tra i metatarsi vengano ad essere stimolati con compressioni anomale, si infiammino e degenerino col tempo.

Questa situazione si verifica con particolare frequenza tra il terzo ed il quarto metatarso manifestando quella patologia nota come Neuroma di Morton; in questa situazione il nervo (cioè il cavo elettrico che conduce e trasmette gli stimoli nervosi dal cervello al corpo e viceversa passando per il midollo spinale), è oramai degenerato e si è formato in esso o attorno ad esso un neurofibroma, ossia un nodulo. Coinvolto e stimolato da microtraumi ripetuti nel tempo, il nervo dà origine ad una notevole sintomatologia dolorosa.

Il dolore, che all’inizio è lieve e sopportabile, può diventare via via acuto e trafittivo sotto il piede, in prossimità della base del terzo e quarto dito. Pochi passi e la sensazione di un sassolino o di un chiodo rovente costringono a togliere la scarpa e a massaggiare il piede. Con il tempo le due dita si intorpidiscono fino a perdere la sensibilità e il dolore non si allevia neanche con il riposo.

Per giungere alla diagnosi ci si avvale, oltre che della valutazione clinica, dell’ecografia (area ipoecogena omogenea ben delimitata nel contesto del nervo) ed in casi selezionati anche della risonanza magnetica nucleare.

Se a questo punto possiamo essere già arrivati ad uno stadio avanzato della patologia, molto spesso è possibile riconoscere e prevenire possibili evoluzioni negative già dagli stadi precoci.

 

COSA FARE?

In seguito a sintomi anche fugaci avvertiti nella zona anatomica corrispondente ai metatarsi o alla rilevazione di callosità circoscritte bisogna accertarsi:

  • che le calzature siano adeguate alla conformazione del proprio piede;
  • che la tomaia della calzatura non sia troppo aderente in tale area;
  • che via sia un tono normale della muscolatura intrinseca del piede;
  • che la suola della calzatura non sia consumata in maniera anomala in corrispondenza del metatarso;
  • che la meccanica dell’appoggio del piede sia normale sia da fermo sia, pure, durante il cammino,  durante la corsa o durante le attività specifiche di ogni sportivo.

 

Se siamo d’accordo nell’affermare che la miglior cura è sempre la prevenzione, uno degli elementi più importanti riguarda “l’educazione” del piede, cioè il mantenere in buona efficienza la sua muscolatura propria; di ginnastica il piede ne fa sia durante il cammino sia durante la corsa, cosa che può avvenire con maggior difficoltà se la calzatura è troppo stretta in corrispondenza dell’avampiede. Da qui l’importanza di saper modulare opportunamente l’allacciatura in modo che non sia né troppo tesa né troppo larga. Un buon tono ed un buon volume dei muscoli intrinseci del piede può essere considerato un fattore favorevole che agisce positivamente anche sullo scheletro; occupando spazio, infatti, i ventri muscolari tendono ad allontanare leggermente fra di loro le ossa metatarsali offrendo maggior spazio ai nervi che vi intercorrono e riducendo i rischi di stimolazioni abnormi su di essi. Esiste la possibilità di attuare degli esercizi specifici che ognuno può svolgere in maniera autonoma e che sono specificamente diretti al recupero di un buon tono e di un buon trofismo dei muscoli che agiscono sui metatarsi.

Fra le possibilità di cura e, ancor prima, di prevenzione della patologia è doveroso parlare dell’impiego dei plantari. Essi sono utili per più di un motivo: in primo luogo per correggere evidenti carenze o difformità relative all’appoggio del piede (valgismo – varismo del retropiede, piede piatto, cavo) che possono condizionare la funzionalità del metatarso e possono inoltre alleggerire e meglio distribuire le forze anomale che si possono manifestare sulle teste metatarsali. Valutazioni accurate eseguite da personale specializzato anche mediante l’impiego di strumentazioni sofisticate che prendano in esame sia la componente statica sia quella dinamica dell’appoggio, permetteranno di individuare l’eventuale presenza di anomalie e di indirizzare nell’approntamento di idonei plantari che vadano ad ottenere un’ideale distribuzione dei carichi sia nella fase ammortizzante dell’appoggio così come in quella di spinta. I criteri valutativi per quantificare il tipo di eventuale correzione devono essere molto accurati, soprattutto in chi corre. L’esigenza di presidi specifici adatti alla corsa, ben diversi da quelli solitamente adottati durante il cammino, sono di rigore.

Le terapie fisiche (Tecar, ultrasuoni, laser, jonoforesi e via dicendo) possono essere senz’altro indicate per arginare il progredire dell’infiammazione ma non rimuovono la causa scatenante e quindi devono essere viste come un complemento della cura di questa patologia e non come presidio terapeutico esclusivo.

Nelle fasi acute può essere di aiuto anche l’applicazione di un bendaggio funzionale che permetta di ottenere una maggiore separazione degli spazi intermetatarsali.

Anche le infiltrazioni con diverse sostanze possono essere di aiuto per sfiammare il nervo, ma il più delle volte la loro azione è solo transitoria. Dopo poche settimane di sollievo i dolori tornano.

A questo punto possiamo considerare come trattamento d’elezione quello chirurgico.

Due le possibilità: l’asportazione del neuroma e la neurolisi.

Il primo intervento è quello più diffuso. Attraverso una incisione dorsale del piede di circa 3 centimetri il neuroma viene isolato e asportato con tutto il nervo. I dolori passano immediatamente, ma le due dita che erano innervate del nervo sacrificato perdono gran parte della sensibilità in modo definitivo. Non solo: in una piccola percentuale di casi il neuroma si può riformare nel punto dove il nervo è stato reciso.

Meno invasiva la neurolisi per via endoscopica: attraverso due incisioni cutanee millimetriche viene introdotta nello spazio del nervo una sonda ottica ed i piccoli strumenti necessari. In questo modo il neuroma viene liberato dai tessuti che lo circondano responsabili delle pressioni e delle frizioni che lo hanno infiammato. Non serve asportarlo: reso al nervo il suo spazio, il neuroma dapprima si sfiamma e infine si riduce di volume fino a scomparire. Tanto basta ad eliminare i dolori in modo definitivo. Un unico limite: se i sintomi sono stati ignorati per troppo tempo ed il neuroma è troppo vecchio si forma su di esso del tessuto fibroso, come quello delle cicatrici, e la percentuale di successo dell’intervento diminuisce sensibilmente. Meglio allora ricorrere all’asportazione.

Dopo l’intervento chirurgico il paziente può camminare con appoggio totale senza uso di stampelle, ma facendo ricorso all’uso di una scarpa particolare chiamata “talus” che permette l’appoggio a terra solamente del calcagno.

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fabioparolini