Partiamo innanzi tutto col capire cosa è un disco….È un cuscinetto che si trova tra una vertebra e l’altra ed è costituito da una parte esterna più resistente che ha la consistenza di una gomma da cancellare (anello fibroso) e da una parte interna gelatinosa (nucleo polposo)
L’ernia del disco si ha quando la parte gelatinosa trapassa la parte posteriore/laterale dell’anello fibroso e fuoriesce causando diversi tipi di sintomi. Prima dell’erniazione vi sono diversi stadi intermedi che vengono definiti come “protrusioni” e che fanno parte, insieme all’ernia, dell’ampio gruppo delle discopatie.
Tutti tendono a credere e ad attribuire al disco il ruolo di “ammortizzatore” della colonna vertebrale; la funzione di ammortizzamento è principalmente data dalle curvature che la nostra schiena possiede (cifosi e lordosi). In realtà la funzione principale del disco è quella di consentire, insieme alle articolazioni, il movimento della colonna (che altrimenti sarebbe un blocco unico) e, allo stesso tempo, di ridurre le componenti di scivolamento reciproco tra le vertebre che costituiscono uno degli elementi più dannosi per le strutture vertebrali durante i normali movimenti.
Ma perché un disco si ernia? Spesso si crede che siano gli sforzi e gli “strappi” a provocare la rottura del disco; essi sono solo “la goccia che fa traboccare il vaso” in una situazione di degenerazione che si è creata in un lungo periodo di tempo. Sono i “microtraumatismi” che, giorno dopo giorno, fanno usurare il disco e lo portano alla sua protrusione e poi erniazione. Nella posizione seduta, ad esempio, si crea una condizione di carico sul disco che è nettamente superiore rispetto alla posizione in piedi. La maggior parte dei pazienti con discopatie sono persone che svolgono attività lavorative sedentarie (impiegati d’ufficio, progettisti, grafici, agenti di commercio o autisti che viaggiano per lungo tempo in auto o su camion….) e che tendono a rimanere seduti in posizioni scorrette aumentando ancor di più il carico che già la posizione stessa imprime sul disco e che porta all’usura graduale e progressiva delle sue strutture posteriori fino a farla sfociare in una protrusione o all’ernia vera e propria. Così come per i soggetti che eseguono movimenti ripetitivi in flessione del tronco o flessione più rotazione o che mantengono per lunghi periodi tale posizione.
Il paziente con discopatia può accusare diversi tipi di disturbi: principalmente dolore, alla schiena o alla gamba, ma anche formicolio, riduzione della sensibilità, riduzione della forza in alcuni distretti specifici, difficoltà al movimento o al mantenimento di certe posizioni. Allora cosa fare quando il paziente soffre di discopatie o ernie? In passato si ricorreva quasi sempre all’intervento chirurgico per cercare di eliminare la parte che fuoriusciva; tuttavia, ci si è resi conto che molto spesso la chirurgia non era risolutiva e, ancor più, che gli esiti e le complicanze dell’intervento mettevano il paziente in una condizione peggiore rispetto al problema iniziale.
Negli anni le tecniche chirurgiche si sono notevolmente evolute e sono diventate molto meno invasive, ma si è capito anche che, con un buon programma di fisioterapia ed una corretta educazione alle abitudini di movimento e di postura insieme ad un eventuale supporto farmacologico iniziale, il paziente può recuperare un eccellente condizione e ritornare a svolgere le proprie attività quotidiane.
Quando si ricorre all’intervento chirurgico? Non basta osservare una risonanza magnetica per decidere se operare o no. E’ la storia del paziente e soprattutto l’esame clinico che deve portare alla scelta chirurgica. Ormai si è concordi nel ritenere che si deve valutare l’opzione chirurgica quando si manifestano segni neurologici di “compressione” del nervo, ossia riduzione o perdita dei riflessi oteotendinei, perdita della sensibilità e perdita della forza in alcuni distretti precisi. Altro parametro è la persistenza di dolore importante da più di tre mesi, che non si riesce a modificare con il trattamento conservativo (farmaci, fisioterapia, altre terapie…..) e che quindi condiziona in modo rilevante la vita del paziente.
Gli studi scientifici, ma anche la pratica quotidiana, ci permettono di stabilire solo una parziale correlazione tra esami radiologici e sintomatologia del paziente; questo vuol dire che possiamo trovarci di fronte ad una risonanza magnetica che ci mostra un’ernia di grosse dimensioni con sintomi del tutto modesti o, al contrario, piccole protrusioni che però portano al paziente disturbi molto importanti. Esistono innumerevoli fattori che in quel preciso momento possono determinare l’insorgenza del sintomo: rigidità, alterata circolazione locale, processi infiammatori a livello delle tante strutture anatomiche in situ (legamenti, muscoli, capsula articolare, articolazione stessa…..). Questo spiega il fatto per cui lo stesso paziente, pur conservando un’immagine radiologica identica nel tempo possa soffrire, o non soffrire, di sintomi uguali o differenti oppure di soggetti del tutto asintomatici che scoprono casualmente di avere ernie facendo indagini per altre problematiche.
Il concetto importante che deve passare è che i clinici e i terapeuti non si preoccupano di valutare e “trattare l’ernia”, bensì di valutare e trattare il paziente, con la sua storia, il suo quadro clinico, il suo vissuto personale. Se non ci si basasse su questo principio si rischierebbe di sbagliare quasi sempre. E altro punto fermo, che soprattutto i pazienti devono comprendere, è che il trattamento non consiste nel “far rientrare l’ernia”: questo è un concetto erroneo, anche se largamente diffuso e, nel caso in cui, un terapeuta si permettesse di affermare che, con le proprie mani e con i propri trattamenti, fa questo significa che o non è un professionista qualificato o si sta prendendo gioco del paziente.
Il trattamento del paziente con discopatie consiste inizialmente nel cercare di ridurre la sintomatologia attraverso l’impiego di terapie manuali e/o strumentali, attraverso esercizi specifici e mediante l’impiego di farmaci se necessario. Ridotta la sintomatologia il paziente non può dirsi guarito. E’ necessario ricostruire la condizione fisica e motoria ottimale per far si che le ernie non ritornino a far male; si devono pertanto “risvegliare” quei muscoli profondi che hanno la funzione di proteggere e stabilizzare i segmenti vertebrali coinvolti e si deve educare il paziente affinché si muova in maniera corretta e mantenga un’attività motoria regolare e costante.
Durante la fase acuta si sente spesso parlare dell’impiego di tecniche manuali e manipolative, di Tecar terapia, di Laser, di Agopuntura, di ozonoterapia….tutti presidi utili e con risposte spesso molto efficaci, anche se non standardizzabili. Esse, tuttavia, vanno intese come strumenti attraverso i quali si riesce a giungere alla vera e propria rieducazione del paziente e del suo problema, cioè attraverso la ricerca e la correzione della causa e non solo dell’effetto (sintomo). L’ernia stessa non deve essere intesa come la causa del problema, ma come l’effetto di cattive abitudini di movimento e posturali che sono la causa vera del problema.
E dopo un eventuale intervento chirurgico di ernia vale la stessa regola: devo ricostruire la condizione ottimale per far si che il recupero ed il risultato ottenuto possa essere mantenuto nel tempo e per non incorrere in quelle situazioni che spesso si vedono nella pratica quotidiana in cui certi pazienti sono ricorsi ad un primo intervento, poi ad un secondo perché magari si è creata una recidiva o ad un terzo perché si è erniato il disco vicino…….
In conclusione possiamo affermare che:
Quello conservativo è sicuramente il trattamento auspicabile per la cura delle ernie del disco; armandosi di tanta pazienza si deve impostare un programma di rieducazione adeguato che consenta di agire non solo sui sintomi ma anche sulle cause dell’ernia; Non ci si deve fidare di chi promette risultati rapidi soprattutto se afferma di “far rientrare le ernie”.
I professionisti seri e specializzati in questo settore faranno un quadro chiaro della condizione e coinvolgeranno il paziente in un percorso che necessita sì di tempo, ma che può assicurare risultati duraturi; Non dobbiamo dimenticare che per le ernie non vale il detto “tolto il dente tolto il dolore”. Qualora si renda necessario un intervento (secondo le diverse tecniche e metodologie) e anche quando i sintomi siano scomparsi, il paziente non è guarito ma deve ricreare, con un buon programma di rieducazione, una condizione che riduca al minimo la possibilità di ulteriori ricadute. Vivere una vita normale dedicandosi anche alle proprie passioni è possibile pur in presenza di ernie o di discopatie a patto che, non solo chi cura, ma anche chi si fa curare affronti in modo serio e coerente il problema.